Madonna della Guardia
Il mattino del 29 agosto 1490 – narra la tradizione – la Madonna apparve sul monte Figogna a un povero contadino di Livellato, Benedetto Pareto, recatosi lassù a falciare l’erba…
Il racconto popolare ha persino qualche barbaglio comico, rappresentato da un altro personaggio, Teixinin, ovvero Teresina: la moglie del miracolato, raffigurata come una Santippe in sedicesimo. Non aveva troppa considerazione del marito, e meno ancora ne ebbe quando fu informata dell’apparizione: gli raccomandò di tacere, se non voleva che la sua scempiaggine diventasse di corale dominio pubblico. E Benedetto finì per convincersi, inadempiendo l’ordine che gli aveva dato Maria: quello di costruire sul luogo dell’apparizione una cappella.
Il nome stesso di Figogna origina verosimilmente da “fagus”, il faggio che ammantava in quei tempi lontani i declivi; tuttavia il popolo preferisce farlo derivare dal dialettale “figo”. Su un fico, appunto, si dice che il Pareto si arrampicasse a pochi giorni dal prodigio, ma un ramo si ruppe e il poveretto s’infortunò gravemente. In pericolo di vita, la Madonna gli apparve ancora, rimproverandolo per la mancata promessa; si pentì, ovviamente, e ottenuto il perdono e la conseguente guarigione, si adoperò a tutt’uomo per realizzare la famosa cappelletta, non più badando a Teresina e valendosi via via di aiuti sempre più numerosi.
Certo è che gli anni attorno al 1490 furono tra i più critici della storia di Genova. L’impetuoso Paolo Fregoso, doge e arcivescovo al tempo stesso, era dovuto fuggire: gli Sforza governavano il territorio, ma in realtà continuavano le accesissime lotte tra famiglie nobiliari. L’invito del Pareto a erigere una cappella fu una limpida esortazione alla pace, ad una vita migliore, che ovviamente doveva essere ben accetta da molti.
Si legge che la prima costruzione misurava meno di 3 metri in lunghezza, e 2,5 in larghezza, ma per l’afflusso delle visite alla Madonna della Guardia – detta forse così, si argomenta, perché un tempo stazionavano sul monte addetti alle segnalazioni, con fumate di giorno e fuochi notturni – già si ebbe un ampliamento quando ancora viveva Pareto. Un altro venne nella prima metà del ‘500; sinché circa cent’anni dopo si procedette a un completo rifacimento, con l’adozione della forma conservata pure nell’ultima ristrutturazione, firmata dal milanese Bisi nel 1890.
Oggi il tempio, a tre navate, ha lunghezza massima di 49 metri e lunghezza di 26, oltre ai due coretti adiacenti l’aitar maggiore. Questo è opera marmorea di Angelo Ortelli, mentre la statua lignea della Madonna, sistemata posteriormente in un “Tempietto”, è dovuta ad Antonio Canepa. Altri capi d’arte si sono gradatamente aggiunti, ma la ricchezza maggiore è rappresentata dalle migliaia e migliaia di ex voto conservati al Santuario, che testimoniano il vastissimo culto. Il Cappellini nel 1950 stimava le presenze annue attorno alle 200.000 unità; oggi riteniamo si superi il milione.
I pellegrinaggi sono distribuiti nel corso dell’anno, ma in particolare s’infittiscono il 29 agosto, anniversario dell’apparizione. Un tempo prima della guidovia, prima della strada asfaltata – con animate gite a piedi, oggi fattesi sporadiche, da San Carlo, da Sestri, da Morigallo, da Murta; con penitenti che anche affrontavano l’erta scalzi, o addirittura con ceci nelle scarpe, per verità spesso soltanto favoleggiati. Per i più pigri, invece, e per le signore delicate, erano disponibili pazienti mulette: con l’inevitabile colonna sonora di reiterati gridolini muliebri, quando i quadrupedi esageravano nella loro abitudine d’avanzare sul ciglio del sentiero. “La resta (collana di nocciole) – scriveva Giovanni Dellepiane nel 1892 – con canestrello (ciambella a corolla) avvolta alla cintola, il mazzolino di fiori ed il ramoscello di castagno coi gusci spinosi semiaperti, sono l’indispensabile corredo del popolano che ritorna dalla festa”… Ma altrettanto “indispensabili” erano le robuste colazioni sull’erba o nelle osterie più accreditate, prima fra tutte quella del “Caegà”…
E, a parte il lato mistico, a parte pure quello più prosaico delle scorpacciate, rimaneva e rimane la bellezza del panorama goduto di lassù: tutta la Val Polcevera, il mare, e con tempo particolarmente propizio i monti di Corsica, le Alpi Apuane e quelle “vere”, Cervino compreso. Ma i più audaci un tempo erano già in vetta la sera della vigilia, per lo spettacolo della grande luminaria d’ogni paese della valle: una consuetudie nata nel 1885 – si afferma – per iniziativa del cappuccino Andrea da Varazze, che predicando al Santuario ebbe l’idea di tale ulteriore omaggio alla Madonna della Guardia.
Per coloro che il 29 agosto non possono raggiungere il Figogna, suggeriamo di onorare la festa almeno con un diligente pranzetto: aperto una volta di più dai Ravioli – beneficiari di un’ottima accoglienza in ogni stagione – portato avanti da un saporoso polpettone di fagiolini, concluso più che opportunamente da un gelato di limone.
E al proposito osserviamo che se gli Americani celebrano un “Columbus Day”, a ricordare la scoperta che tanto da vicino li riguarda, un altro genovese dovrebbero in qualche modo ricordare: quel Giovanni Bosio che nel 1770 fece conoscere al Nuovo Mondo proprio i gelati, aprendo a New York un’apposita bottega. Peraltro, a ribadire l’eccellenza raggiunta nel settore, si può contare su di un teste quale il presidente Charles de Brosses, che a Genova nel giugno del 1739, così doveva scrivere nelle celeberrime Lettere familiari dall’Italia: “…si trovano dei sorbetti divini. Da quando son qui non mi nutro d’altro”.
Raieu de carne (Ravioli di carne)
Porpetton de faxolin (Polpettone di fagiolini)
Radicciun e tomate in insalatta (Radicchio e pomodori in insalata)
Formaggi
Sciorbetto de limon (Gelato di limone)
4 limoni; 200 gr. di zucchero in zollette.
Strofinare a lungo sulla buccia dei limoni – non trattati col tossico difenile – le zollette di zucchero: esse, ingiallendo visibilmente, cattureranno gran parte dell’aroma. A operazione conclusa, mettere sul fuoco una casseruola con 500 gr. di acqua fredda e lo zucchero, e lasciarcela finché quest’ultimo non sarà ben sciolto. Far raffreddare, poi aggiungere allo sciroppo così ottenuto il succo dei limoni. Filtrare e porre in frigorifero, sino al momento di versare nella sorbettiera.