San Pietro
Anche Pietro era un Santo molto popolare nella nostra città. La pesca rappresentava nel passato attività importante, ed è naturale che avesse largo seguito il patrono della categoria, come in ogni centro costiero; soltanto Camogli, al proposito, farebbe eccezione, avendo invece scelto per tale funzione San Fortunato.
Comunque, negli innumerevoli viaggi attribuiti dalla leggenda al Principe degli Apostoli, se ne racconta uno effettuato proprio a Genova, volto ad ottenerne la conversione. Pietro si sarebbe recato a Banchi, allora la city nostrana, ma non ottenne grande successo nella predicazione. Allora mutò argomento: affermò tutt’attorno che nell’aldilà i genovesi avrebbero avuto il più alto interesse che mai avessero sognato, addirittura il cento per cento. Aveva trovato il tono giusto, e le conversioni si moltiplicarono talmente, da affaticare il Santo…
Alla fine della giornata si ritirò dalla città, dormendo saporitamente sulla fine sabbia dov’era sbarcato all’arrivo. Si svegliò soltanto al vociare dei pescatori che tiravano le reti. Si unì a loro, esperto del mestiere, e anche discusse su ciò che oggi definiremmo problemi di categoria. In suo onore, e in ricordo di quella sabbia ristoratrice, la località si disse San Pier d’Arena.
Con simili rapporti, è ovvio che a Genova il suo culto fosse decisamente diffuso. Una chiesa, intanto, gli fu dedicata presso Banchi, il luogo dell’improbabilissima predicazione. Secondo la tradizione sarebbe nata sulle vestigia d’un tempio pagano dedicato a Giano, ma in realtà venne fondata l’anno 862, e distrutta da un incendio alla fine del secolo XIV. Sulla sua area eressero un palazzo i Lomellini, ma la peste del 1579 consigliò il ritorno alla chiesa; i proprietari cedettero perciò l’edificio, di cui vennero demoliti soltanto i piani superiori. Ne è risultato quindi il caso, forse unico in Italia, di un tempio costruito su di un pianterreno, per di più occupato da negozi. Ma la chiesa – in cui si sposarono i genitori di Mazzini – ebbe a lungo un altro primato, quello della più melodiosa “colonna sonora”: la sua scalinata, infatti, ospitò per lunghissimo tempo un affollato mercato d’uccelli.
Un altro tempietto fu dedicato a San Pietro nel XV secolo: alla Foce, accanto alle abitazioni dei pescatori. Venne però distrutto quasi totalmente da una terribile mareggiata, la notte di Natale del 1821: la più disastrosa nella storia della nostra città, col naufragio in porto di quarantacinque navi. Così San Bernardo, sin allora unico titolare della chiesa posta sull’erta di via Fogliensi, dovette di lì a poco condividerla col “collega” Pietro. Chiesa distrutta dai bombardamenti dell’ultimo conflitto, e ricostruita fra il 1952 e il ’58.
Fu qui, accanto al borgo dei pescatori, che fiorì la tradizionale fiera, nei giorni del Santo: forse la più animata della città, tra la fine dell’Ottocento e il primo scorcio del ‘900, coi corollari del palio marinaro e del serale spettacolo pirotecnico, l’uno e l’altro sopravvissuti in qualche modo sino ai nostri pallidi chiari di luna.
Erano appunto gli abitanti del borgo a fare, per così dire, gli onori di casa, accogliendo la folla proveniente dagli altri quartieri, sedotta dalle molteplici attrazioni: imbonitori di stoffe e stoviglie, che con le trovate “sceniche” e le tirate oratorie radunavano anche chi non avrebbe acquistato neppure uno spillo: unguenti prodigiosi, a base di grasso di marmotta, capaci di donare guizzi bersagliereschi alle membra più intorpidite; specifici per calli e duroni, invariabilmente premiati a Parigi e a Bruxelles; mangiatori di fuoco, frammenti di vetro e altre simili ghiottonerie; e ancora, venditori di “reste e canestrelli”, zucchero filato, sorbetti, balocchi per la gioia o le lacrime, a seconda delle decisioni paterne, di bimbi vestiti regolarmente – va da sé – alla marinara.
Quei bimbi che la sera della vigilia erano stati invitati a un particolare gioco: versare in una scodella colma d’acqua l’albume di un uovo, per avere la sorpresa, la mattina seguente – e soltanto la mattina di quel giorno, si assicurava – di vederlo disposto in forma di barca…
Ma la festa di San Pietro era anzitutto una sagra del pesce; si presentasse nelle profumate zuppe ammannite delle trattorie locali, o esitato in capanni estemporanei sotto la specie di fragrante frittura, in cui era gioco supplementare riconoscere le acciughine, i gamberetti, le boghe, i piccoli totani e altro, altro ancora. Gustato col viatico di un po’ di sale, ma senza limone. Che diamine, allora si badava allo specifico proverbio: “Chi in sciò pescio ghe mette o limon, ò o l’è de Cùneo, ò o l’è un belinon” (Chi sul pesce mette il limone, o è di Cuneo – traduciamo, mitigando un tantino l’asprezza del genovese – oppure è uno sciocco). Il suo succo, infatti, maschera la scarsa freschezza.
Infine, mentre il pubblico tornava, partivano le prime barche per la pesca. I Foxiani – straordinariamente chiusi, tanto da avere proprie tradizioni e una caratteristica inflessione dialettale tutta loro, curiosamente strascicata – non potevano alterare troppo a lungo il ritmo di vita.
Il giorno seguente, peraltro, il mare sarebbe stato un po’ meno il loro, cominciando la stagione dei bagni. Non si dovevano più temere, per l’appunto, le bizzarre e sinistre inclinazioni attribuite a Pietro stesso e al Battista, onorato pochi giorni prima. Perché, si diceva, “San Pè o ne veu ùn pe le, e San Gian Battista o ne veu ùn pe-a seu pellissa” (San Pietro ne vuole uno – affogato – per lui, e San Giovanni ne vuole uno per la sua pelliccia). La ragione d’una credenza paganeggiante quanto irrispettosa? Le violente mareggiate, abbastanza frequenti nell’ultimo scorcio del mese di Giugno, serio pericolo per i nuotatori. Nel particolare giorno, poi, sarebbe stato pressoché suicida un tuffo nelle onde, dopo una simile scorpacciata di pesce …
Sùppa de muscoli (Zuppa di cozze)
Pesci friti (Frittura di pesce)
Insalatta mista (Insalata mista)
Cuori di scarola; 2 trevigiane; un finocchio; un mazzo di ravanelli; sale; olio extravergine d’oliva; aceto di vino bianco.Utilizzare i cuori delle scarole impiegate per i ravioli: pulirli e porli a bagno con la trevigiana, il finocchio, le cipolline e i ravanelli, il tutto mondato con cura.Preparare in una piccola ciotola il condimento, emulsionando un cucchiaino di sale con un cucchiaio d’aceto e tre d’olio. Porre la ciotola al centro d’un piatto da portata grande e rotondo.
Tagliare a striscioline la scarola e farne una corona attorno alla ciotola; ripetere l’operazione con la trevigiana, che verrà posta all’esterno della scarola. Affettare il finocchio molto sottilmente e disporlo esternamente alla trevigiana; se sarà possibile, tagliuzzare i ravanelli in modo da dar loro la forma di fiore, e sistemarli comunque presso il bordo del piatto. Eliminare la parte verde delle cipolline e adagiarle nella ciotola del condimento, appoggiate al bordo in modo che possano essere prese senza ungersi le dita: così esaleranno un po’ d’aroma all’intingolo, rendendolo più appetitoso.
Fruta (Frutta)