La formaggetta al modo della Meri
Maria Savio, per tutti Meri (classe 1914), è una signora di Montoggio che da sempre produce Formaggette con latte di vacca. Oggi non alleva più bovini da latte e ha accettato di trasmettere le sue conoscenze mostrando più volte come procedere nella produzione della Formaggetta.
I suoi strumenti di lavoro sono: stufa a legna, pentola con coperchio in alluminio per scaldare il latte, indice della mano destra per misurarne la temperatura, caglio liquido e cucchiaio da cucina per dosarlo, mestolo in alluminio per mescolare il latte, lo stesso indice della mano destra per capire lo stato della cagliatura, tazza (cuppetta) per togliere parte del siero, colino in plastica per raccogliere, scolare e formare la pasta di formaggio, sale grosso da cucina per la salatura e alcune salviette per la stagionatura. Il latte può essere sia di una sola mungitura (mattino o sera) come misto (preferito da Meri). L’ambiente in cui solitamente opera è la sua cucina, nella quale abbiamo riscontrato una temperatura che varia dai 17 ai 21 gradi centigradi.
La considerazione di base è che il latte rende in formaggio poco più del 10%, quindi 10 litri di latte danno circa 1000/1100 grammi di formaggio (più la ricotta). Meri mette il latte nella pentola che si trova già sulla stufa e lo porta ad una temperatura di circa 30-31 gradi centigradi (misurati da noi; lei lo fa col dito!… e non sbaglia!). Appena il latte è al punto giusto, mette il caglio liquido nella misura di un cucchiaio da cucina ogni 5 litri di latte. Misurandolo abbiamo visto che il rapporto è di circa 1 a 1000, quindi ogni litro di latte 1 millilitro di caglio. Rimescola bene il latte con il mestolo e lo lascia rapprendere coprendo la pentola e togliendola dalla stufa . Il tempo medio di attesa è di circa 50 minuti, trascorsi i quali controlla lo stato di cagliatura. Di solito Meri lascia il mestolo all’interno del latte che, una volta rappreso, lo racchiude nella cagliata. Proprio muovendo il manico del mestolo lei capisce se si è raggiunto il momento giusto per rompere la cagliata. Lucia Sepe, agronoma esperta di produzioni casearie, ci ha mostrato un modo un poco più semplice che consiste nel passare il solito dito indice sulla superficie della cagliata: se togliendo il dito non vi si attaccano pezzetti di cagliata si è giunti al momento di riprendere il lavoro. Meri sposta la pentola su di una seggiola in modo da lavorare più agevolmente, immerge il braccio nella cagliata e, tenendo la mano a forma di cucchiaio, la agita sul fondo della pentola. In questo modo si crea un effetto di spezzettamento della cagliata (rottura) che continua finché non la si riduce in frammenti grandi poco più del riso. A questo punto fa precipitare la cagliata verso il fondo con una leggera pressione delle due mani sulla superficie della stessa. Sono movimenti delicati che interessano tutta l’area superficiale della cagliata e che Meri compie con un rituale che prevede anche l’incrocio delle braccia (il segno della croce non è casuale nella produzione del formaggio).
Con questa operazione (che in genovese è definita asquaccià) la cagliata è depositata sul fondo della pentola mentre il siero si trova in superficie. È a questo punto, con l’aiuto della tazza, che Meri estrae la maggior quantità possibile di siero dalla pentola in modo che rimanga quasi solo cagliata.
Inizia ora ad estrarre con due mani la cagliata; comprimendola leggermente per poi depositarla nel colino cercando di disporla omogeneamente con leggera pressione del dorso della mano. Quando nella pentola non rimane che poca cagliata e un po’ di siero, passa il contenuto in un altro colino per raccogliere gli ultimi residui di cagliata e unirli al resto. Impugna quindi il colino con le due mani e, con movimenti graduali simili a quelli di un cuoco che salta la pasta in padella, rivolta la formaggetta. Lo fa due tre volte controllando che la superficie di ogni lato sia il più possibile omogenea e senza fessure.
Lascia quindi riposare per 24 ore e procede alla salatura. Prende la formaggetta, la mette in un piatto e la cosparge di sale grosso, prima da un lato e poi dall’altro. La lascia così dalla sera alla mattina. A questo punto la lava sotto l’acqua per togliere il sale, la asciuga bene e la avvolge in una salvietta che cambia, per i primi giorni, due volte al giorno e in seguito una volta al giorno. È importante non lasciare le salviette bagnate attorno alla formaggetta e metterne sempre di asciutte e pulite. La stagionatura dura circa 20 giorni e Meri tiene la formaggetta in un posto fresco ma non freddo (nelle case dei contadini alcune stanze sono anche troppo fredde), che di solito è una stanza rivolta a nord. E finalmente arriva il momento di assaggiare la formaggetta.
Questa prova si è tenuta nel caseificio dell’azienda agricola Autra del Signor Alfredo Bagnasco in località
Olmi di Savignone nell’anno 2002.
Sergio Rossi